Di origini romaniche, probabilmente costruito nel tardo medioevo, il Ponte della Fola si trova al confine tra Groppo, frazione di Riolunato, e Pievepelago, scavalcando all’uscita della conca di Pievepelago il torrente Scoltenna prima che questo si inabissi nella forra che per secoli ha costituto un ostacolo per le comunicazioni, dato che il passaggio era possibile solamente presso il ponte di Strettara. Enormi erano le difficoltà nell’attraversare i corsi d’acqua, in particolare perché privi di sbarramenti, tanto che i guadi erano vegliati da edicole sacre e croci. Il settore appenninico modenese ha sempre avuto un ruolo cruciale nei traffici tra l’area padana e la Toscana, specialmente verso la zona di Lucca e la piana di Pistoia.
Una delle strade più importanti che nel Medioevo univano la Toscana al Pelago era quella che da Pistoia valicava l’Abetone, toccava Fiumalbo quindi, per S.Michele, scendeva a Riolunato e proseguiva lungo lo Scoltenna, attraversando appunto questo ponte.
L’istituto alle Belle Arti lo definisce “interessante costruzione a schiena d’asino, a due luci irregolari, risalente all’alto Medioevo”.
Il ponte è considerato il simbolo di Pievepelago, ma sono poche le notizie storiche al suo riguardo.
Il toponimo è riconducibile, secondo Fontana, al periodo Longobardo e quindi alla “fabula inter vicinos”, assemblea comunitaria introdotta dall’Editto di Rotari, mentre Santini avanza l’ipotesi che possa riferirsi semplicemente a “fola” nel senso di favola o leggenda, o alle favole che i pastori si raccontavano incontrandosi al passaggio.
Suggestivo per la struttura ad arcate asimmetriche e a forma di schiena d’asino, mostra alcune interessanti analogie con il ponte toscano di Borgo a Mozzano e con quello delle Lazze (Ponte della Fola alto) , forse una testimonianza della breve dominazione lucchese nell’Alto Frignano durante il XIV secolo, anche se il primo documento in cui si parla del ponte risale al 1028. Ha la particolarità di essere l’unico esempio noto di ponte di pietra a due arcate in tutta l’Emilia. Ulteriormente rimarchevole se si pensa che la costruzione di ponti in pietra, molto costosa, richiedeva maestranze specializzate, e per questo vi si dava corso soltanto su precisa volontà delle comunità interessate e dei governanti. La perizia con la quale furono progettate e costruite le sue arcate fece nascere leggende con monaci e demoni, in quanto, essendo per lo più perdute le nozioni tecniche romane al di fuori dei conventi, si riteneva che simili opere non potessero essere frutto dell’ingegno di un uomo. A Pievepelago si narra quindi che un frate raggirò i demoni facendogli costruire il ponte.
Il diavolo sul ponte – le leggende sui ponti medioevali dell’ Appennino
(http://digidownload.libero.it/pinoligabue/SCARICALI/misteri2p.pdf)
Le arcate slanciate dei ponti medioevali colpirono la fantasia dei nostri antenati.
Pareva loro impossibile che questi potessero essere opera di uomini. Negli anni più bui del medioevo, erano andate perse tutte le nozioni della già avanzata tecnologia romana.Solo i frati nei conventi,
trascrivendo le opere del passato conservavano la memoria delle antiche tecniche, anche di quelle edilizie.
Ecco perché a questi ponti sono legate sempre leggende che hanno per protagonisti un monaco e il demonio. Poiché si riteneva che questi ponti non potessero essere opera di uomini, allora si ricordava il frate perché la memoria storica li legava alla costruzione dei ponti che essi, probabilmente, dirigevano, poi sempre il demone poiché si riteneva che un uomo non potesse costruire un manufatto così complesso. Il frate beffava il demonio, che aveva chiesto la prima anima di passaggio sul nuovo ponte, facendo transitare per primo un gatto, un cane, un gallo o una capra.
Anche a Pievepelago si narra sia successo questo e su rocce sotto il ponte si vedono ancora, su di un macigno, le impronte dei demoni che vi si sedevano per riposarsi durante la costruzione.
Altra leggenda collegata al Diavolo: quella stretta gola era uno dei luoghi preferiti dal diavolo in persona, abituale frequentatore del Pelago, stando almeno alle numerose apparizioni registrate dalla tradizione popolare. Infastidito e non poco dalla presenza dei pastorelli ed annoiato dalle loro lunghissime ed insulse favolette, egli cercava di intimorirli con ogni mezzo per costringerli ad andarsene. Fece soffiare forti i venti, scatenò tempeste ed uragani. Tutti gli elementi erano in moto. Provò con ogni mezzo, ma invano: i pastori, imperterriti, continuavano a radunarsi sul ponte e raccontare le loro lunghe favole. A quel punto, il diavolo deve aver pensato tra sé:” A mali estremi, estremi rimedi”. In uno scatto di collera incontrollabile, egli si manifestò in tutta la sua orrenda bruttezza, passando più volte alla velocità della luce sopra le teste dei malcapitati pastorelli. Con urla orribili, con vampate di fuoco, con occhi terrificanti. I pastori, colti di sorpresa, dopo un attimo di esitazione fuggirono a gambe levate e non rimisero mai più piede al Ponte della Fola
Il ponte della Fola presso Pievepelago è un tipico esempio dei ponti medioevali del nostro Appennino, ma non è l’unico legato a leggende. Ricordiamo il ponte della Luna a Riolunato, ricostruito nel 1800, e il ponte di Olina, in comune di Pavullo.
(vedi anche Antichi ponti sullo Scoltenna)
Esiste, al confine fra i comuni di Pavullo, Lama Mocogno e Polinago, un ponte naturale detto anch’esso ponte del Diavolo, il Ponte Ercole, la cui arcata è dovuta a fenomeni di erosione.
Il Ponte della Fola nell’arte
Il Ponte della Fola in una cartolina anni ‘30 (della collezione Costantino Boilini – tramite Giuliano Pasquesi). Nella cartolina vediamo a valle anche il ‘ponte nuovo’ risalente al 1893 con la strada provinciale che divenne poi Statale 324 delle Radici.
Poesia sul ponte di Francesco Vignocchi di Pievepelago, inizi 1900
(grazie a Giuliano Pasquesi per la scansione)
molto bello